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La Palestina e la sinistra

2023-12-15 15:19

Giacomo La Russa

La Palestina e la sinistra

Di fronte al massacro del popolo palestinese, la sinistra italiana mostra ancora la sua ipocrisia ....

Di fronte al massacro del popolo palestinese, la sinistra italiana (quella che sta in Parlamento e quella che domina i media) mostra ancora una volta la sua ipocrisia, la sua doppiezza, il suo stesso fanatismo. Esiste, d’altro canto, un fanatismo in giacca e cravatta, di gente apparentemente mite, che parla in maniera pacata e indossa cravatte regimental e giacche tweed. È il fanatismo di chi non vuole vedere, di chi non vuole conoscere, di chi non vuole sapere. Il fanatismo ancora di chi, pur sapendo, non accetta i fatti che non sono in linea con la propria posizione ideologica (e, ovviamente, con il proprio padrone). Arruolatasi ormai nel campo del militarismo americano, letteralmente conquistata dal più sfrenato liberalismo globalista, piegatasi alla semplice dottrina dei diritti umani e di quelli civili (rigorosamente individuali), del tutto disinteressata a incidere in qualche modo sulle strutture della società, al cospetto dell’orrore di Gaza e della Cisgiordania, questa sinistra annaspa, vagheggia, s’arrabatta, prova a dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Tutta d’un pezzo, interventista, pronta a fare del soccorso al popolo ucraino un’imprescindibile azione in difesa della libertà, dell’autodeterminazione e degli stessi valori dell’Occidente, si rivela qui particolarmente cauta condannando Hamas (è puro terrorismo islamico, signori) e invocando (del tutto genericamente) i diritti dei palestinesi. Se, dopo i fatti di Sabra e Chatila (favoriti dall’esercito israeliano), alla festa dell’Unità di Tirrenia, nel settembre del 1982, Enrico Berlinguer diceva «siamo di fronte a qualcosa di mostruoso che suscita raccapriccio ed esecrazione. Questa furia omicida ricorda le nefandezze dei nazisti», precisando di essere ostile all’antisemitismo «come a qualsiasi forma di odio razziale: compreso quello di cui appaiono pervasi gli attuali governanti di Israele», se Bettino Craxi considerava «legittima» la lotta armata dei palestinesi, se lo stesso Andreotti non poteva fare a meno di dire che «ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista», la giovane Elly Schlein, confermato il diritto di Israele a difendersi, si limita a sognare di separare Hamas dai palestinesi e a riproporre l’idea, astratta quanto mai, dei due popoli, due Stati. Nient’altro. Nessuna differenza sostanziale rispetto alla destra meloniana o salviniana o post-berlusconiana. Il problema vero è che, in realtà, anche per questa nuova sinistra, la Palestina è diventata un corpo estraneo, un fastidio, un problema. La Palestina, retaggio di un mondo in cui si credeva ancora in qualcosa, in cui si voleva ancora lottare contro le ingiustizie, le sopraffazioni e le colonizzazioni, in cui si voleva, insomma, cambiare il mondo, ecco, quella Palestina, per la nuova sinistra, non esiste più. Guai allora a chi osa ricordare che la storia non è finita, che la Palestina, con tutto il suo valore simbolico, esiste ancora, che la Nakba non è un’invenzione di qualche storico inquieto (come non lo è l’Olocausto degli ebrei), che il quasi milione di profughi palestinesi fu creato dalle milizie armate israeliane (l’Haganà, l’Irkun e la banda Stern), che oltre cinquecento villaggi arabi furono distrutti in qualche mese, che quasi un milione di alberi di ulivo furono sradicati, che le violenze, le uccisioni, gli stupri e i massacri della popolazione palestinese non si poterono enumerare, che le Nazioni Unite nel 1947 diedero il 56% delle terre a chi (come gli ebrei) ne deteneva appena il 5,8%, che dal 1967 Israele occupa persino i territori assegnati ai palestinesi, che tali territori stanno ormai assistendo alla sempre più massiccia colonizzazione di quasi un milione di ebrei, che i muri e i check point della Cisgiordania non sono il frutto di una mente ossessionata, che, dopo averla abbandonata, Israele bombarda sistematicamente Gaza controllandola come una vera e propria prigione a cielo aperto, che le violenze e le uccisioni degli arabi in Cisgiordania si susseguono ogni anno a un ritmo impressionante, che Israele controlla il lavoro, l’acqua, l’elettricità, la libertà, ecc… di un altro popolo, che quello che sta avvenendo in questi giorni non ha nulla a che vedere con l’azione di resistenza armata di Hamas, che l’avversione all’ideologia sionista è cosa ben diversa dall’antisemitismo, che lo Stato di Israele è una configurazione storicamente determinata e non rappresenta certo tutti gli ebrei del mondo (molti dei quali si sono infatti ampiamente dissociati dalle azioni criminali del governo israeliano), ecc… Guai a ricordare tutto questo (e altro ancora). Le anime belle della sinistra svicoleranno, farfuglieranno, faranno addirittura i negazionisti (tanto negare la Nakba vale molto meno che negare la Shoà, non è reato nel civilissimo Occidente), e ancora ti accuseranno di sostenere il terrorismo, di essere un antisemita, ti diranno: «ecco, vedi, tu qui lo puoi dire, immagina se vivessi a Gaza», useranno, insomma, compiacendosi, tutti gli stessi risibili cliché della destra più bieca. Ma allora ha ancora senso questa sinistra? Non è essa diventata la pessima copia della destra? E, soprattutto, non avrebbe la sinistra il dovere storico, morale e giuridico di riconoscere la responsabilità degli Stati Uniti e dell’Occidente in quello che è un vero e proprio genocidio, modificando radicalmente la sua posizione, sottraendosi a ogni complicità e indicando finalmente una strada diversa in cui prevalgano la giustizia e la verità e non la forza e gli interessi? O forse, anche rispetto alla dolorosa tragedia della Palestina, il vero nocciolo della questione è che, abbandonata la via del socialismo, la sinistra ha, in definitiva, irrimediabilmente smarrito se stessa?


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